Marshall Bertram Rosenberg è stato uno psicologo statunitense nato il 6 ottobre del 1934 e morto il 7 febbraio del 2015. Rosenberg ha dedicato la sua vita a quella che chiamò “Comunicazione non violenta”, ovvero un processo di comunicazione che aiutasse le persone a scambiarsi le informazioni necessarie per risolvere i conflitti e le differenze in modo pacifico.
La comunicazione non violenta è un metodo rivoluzionario per parlare a sé stessi e agli altri, un metodo pratico, che può essere imparato da tutti per migliorare la qualità delle relazioni nella vita di tutti i giorni.
Perché un metodo rivoluzionario? Perché si fonda su dei presupposti comunicativi che sono molto lontani dalla tipologia di comunicazione che siamo abituati ad imparare e praticare quotidianamente.
Alla base di questo linguaggio c’è l’empatia e l’assenza di giudizio critico, ovvero l’abitudine che abbiamo a sentenziare ed etichettare ogni fatto, ogni situazione in base ai nostri valori e opinioni, considerati come giusti in assoluto. La cultura in cui siamo immersi è intrisa di presupposti che danno per scontato come il metro di valutazione delle relazioni umane sia proprio il giudizio critico. Per noi diventa normale e logico valutare noi stessi e gli altri in termini di colpa, merito, migliore, peggiore, castigo, premio, bravura, stupidità, peccato, punizione, senso di colpa, senso di inferiorità, condanna, vergogna … Tutto ciò che accade, la nostra mente è abituata a valutarlo secondo un giudizio morale e critico.
Qual è la prima cosa che fanno due bambini quando vengono rimproverati a scuola solitamente? Si danno le colpa! È colpa mia … no è colpa tua … e così all’infinito. Chi lo ha insegnato ai bambini? Noi adulti, perché quello è un modo di parlarsi ben radicato all’interno della nostra cultura. Questo gioco di colpe e punizioni aiuta a risolvere i conflitto in modo rapido, ecologico e soddisfacente per entrambe le parti? No, eppure spesso continuiamo a farlo … perché non conosciamo alternativa.
Facciamo un altro esempio: entro al lavoro e il mio collega ha lasciato l’ufficio in disordine, anche la mia scrivania è piena di scartoffie e se voglio lavorare adesso tocca a me riordinare il disordine: questa è la situazione, questi sono i fatti. Rispetto a questi fatti noi ci raccontiamo una storia che giudica e sentenzia sul nostro collega (quanto è disordinato, irrispettoso e maleducato), sulla situazione in sé (la giornata è iniziata male, non doveva succedere), e su noi stessi (adesso tocca a me, povero pirla, a sistemare tutto).
Non consapevoli della storia che ci raccontiamo su ciò che accade, spesso rimaniamo in un clima emotivo che ci fa soffrire molto e scarichiamo questa sofferenza sul mondo esterno, con modalità che variano in base al nostro tipo di carattere ed educazione.
Esiste una altro modo di comunicare? Esiste un’altra possibilità di stare al mondo che trasformi la situazione di iniziale difficoltà in opportunità di crescita ed evoluzione?
La risposta è sì, e Rosenberg ha qualcosa da insegnarci in merito, ecco la sua profonda intuizione: se diventiamo consapevoli dei giudizi e sentenze che la nostra mente crea in modo immediato e spostiamo la nostra attenzione sui fatti, saremo sicuramente in grado di vedere tutto in modo più chiaro. La possibilità di distinguere i fatti dalle nostre sentenze e giudizi è fondamentale per una visione che ci porti maggior chiarezza e consapevolezza. Quest’attenzione consapevole può essere guidata sui nostri sentimenti, su ciò che proviamo: come mi sento in relazione a ciò che è successo? Come mi sento mentre entro in ufficio e lo trovo in disordine? Triste, deluso, arrabbiato, nervoso … e cos’è che genera il mio sentimento? Quali bisogni, valori sono stati violati, dall’accaduto? Di che cosa ho bisogno? Mi sento nervoso perché avevo bisogno di essere compreso dal mio collega nelle mia aspettativa di trovare l’ambiente lavorativo in ordine.
Perché è importante questo processo?
Perché attraverso questa nuova attenzione consapevole possiamo fare chiarezza e comprendere che le nostre emozioni e sentimenti non sono causate da qualcosa esterno a me, ma dipendono da bisogni, aspettative non soddisfatte. Una volta che portiamo questo tipo di comprensione a noi stessi, ci sentiamo più vicini anche all’altro, che non è più “quello che ci ha fatto stare male”, ma un essere umano come noi che ha agito – anche lui – sulla base di bisogni, pensieri e aspettative.
Ecco la rivoluzione di Rosenberg: attraverso il suo comportamento, l’altro ci fornisce sempre un’occasione di diventare più consapevoli del nostro mondo interno.
È solo a questo punto, quando la nostra comprensione abbraccia noi e l’altro, che possiamo fare anche una richiesta di collaborazione in modo pacifico. Tale richiesta non avrà il tono di una pretesa, ma sarà una richiesta di azione concreta che, se non sarà soddisfatta, per noi andrà comunque bene così, perchè abbiamo realizzato dentro di noi un nuovo processo: l’ascolto empatico dei nostri bisogni anzichè l’accusa diretta verso l’altro.
La comunicazione nonviolenta è anche chiamata Linguaggio Giraffa perché utilizza la Giraffa come simbolo di empatia e relazioni gioiose: il collo lungo della giraffa permette di vedere lontano, le conseguenze dei nostri pensieri, parole e azioni. Viene usato anche lo sciacallo come il simbolo di quella parte di noi che pensa, parla e agisce in modi che ci allontanano dai nostri sentimenti e bisogni e da quelli dell’altro. Facendo pratica, impariamo a fare amicizia con i nostri “sciacalli”, diventandone consapevoli ed accogliendo le abitudini e i pensieri “sciacallo” come punti di riferimento verso il cambiamento. Ogni volta che di fronte a noi troveremo un muro, sappiamo che quella è l’occasione di aprire la finestra e disegnare un orizzonte nuovo per noi, e per tutti quanti.
Per approfondire questo modello rivoluzionario vi consigliamo un video molto interessante, sottotitolato in italiano,in cui lo stesso Rosemberg spiega la comunicazione non violenta.
Buona visione e buona pratica a tutti!