Un certo tipo di domande hanno il potere di catapultarci nel regno della consapevolezza e delle possibilità. Questo me lo hanno insegnato i bambini.
Spesso ciò che manifestiamo all’esterno non è proprio ciò che vorremmo essere, giusto?
Solo che l’attenzione e il giudizio nostro e degli altri va proprio sulla manifestazione esterna e non sul potenziale e la sua attivazione.
Conduco laboratori di consapevolezza con i bambini da più di 20 anni e continuano a rimandarmi e ricordarmi che ogni trasformazione passa da alcune specifiche domande.
Ho notato come generalmente anziché fare domande ai bambini per attivare la consapevolezza, giudichiamo ciò che stanno facendo, e molto probabilmente lo stesso lo facciamo con noi stessi.
Faccio un esempio.
Quando i bambini raggiungono l’aula dove tengo i laboratori, mi trovano lì sulla soglia ad aspettarli. Prima li sento arrivare e poi li vedo. Durante il percorso dalla loro aula alla mia hanno lasciato un luogo ed uno stato psicofisico che caratterizzava la loro condizione in classe con la specifica insegnante con cui stavano lavorando e, catapultati in corridoio, iniziano a dar vita a una nuova condizione fatta di discorsi, giochi, dispetti, versi, risate, insomma si aprono altri mondi… Che vengono portati all’ingresso di quella che sarà l’aula dove trascorreranno l’ora successiva e dove io li sto aspettando per accoglierli.
Cosa facciamo di solito quando i bambini di fronte a noi sono in una condizione di distrazione, come ho appena descritto, o di attenzione ad altro da quello che in quel momento si sta presentando sul loro percorso della giornata?
Tendiamo a richiamarli vero? A dire cosa non va bene. E magari intanto procedere con ciò che c’è da fare.
Personalmente non ho nulla in contrario con ciò che portano in quel momento, lo comprendo, allo stesso tempo ho da fare la mia parte, ho da proporre loro attività in cui credo molto e che saranno di aiuto alla loro crescita.
Così appena arrivano, dopo averli salutati, non li sgrido per la confusione che stanno facendo e nemmeno li faccio entrare.
Se li sgridassi condurrei la loro attenzione su azioni meccaniche che avvengono durante il passaggio da un’attività ad un’altra, con le quali si identificherebbero, riconoscendo loro stessi in quegli specifici atteggiamenti, senza avere la possibilità di scoprire e apprendere nuove strade.
Se li facessi entrare nell’aula in quelle condizioni non darei importanza al luogo e al lavoro che propongo e non darei nemmeno importanza ai bambini, per il fatto che darei per scontato quei comportamenti come fossero l’unica possibilità.
Così la mia azione, lì sulla soglia dopo averli salutati, è porgli la seguente semplice domanda : “Chi vuole entrare?”. Tutti alzano la mano. “Bene allora è necessario ascoltare in che modo entreremo oggi per poter fare ciò che ho da proporvi”. Semplicemente la realtà.
Questa domanda
li catapulta nel presente ad osservare la realtà del momento
veicola che non sto dando per scontato che tutti vogliano entrare e che nemmeno lo si pretende
attiva in loro il discernimento, ponendoli nella condizione di scegliere
li responsabilizza, cioè attiva in loro l’abilità a rispondere
Forse vi state chiedendo: ”E se i bambini non smettono di fare ciò che durante il tragitto nei corridoi hanno costruito?”
È necessario riportarli nuovamente al presente e porli nelle migliori condizioni per scegliere, ad esempio dicendo: “Non smettete di fare ciò che state facendo fino a che non vorrete davvero entrare”. È come se stessi chiedendo :”Cosa davvero volete fare: entrare o continuare a fare ciò che state facendo?”.
Ho fatto questo con molte centinaia di bambini (scuola primaria e secondaria di primo grado) e queste semplici domande poste senza giudizio in merito a ciò che sta accadendo e senza pretesa che accada altro, creano una condizione di ascolto strepitoso di sé e della situazione, per un semplice motivo: catapultandosi nel presente, attivano la consapevolezza.
Ora la domanda è : ”Come utilizzare tutto questo per noi stessi?”
È così semplice che pare banale: chiedendoci al nostro interno in merito a decisioni piccole o grandi ed anche in merito ai nostri comportamenti: “È proprio ciò che voglio?”
È necessario distinguere ciò che voglio davvero dalle azioni e dai pensieri automatici.
Per far questo è necessario chiedersi almeno una volta all’anno: “Se avessi una bacchetta magica e potessi trasformarmi nella persona che davvero vorrei essere, come sarebbe questa persona? Quali qualità porterebbe nel mondo?”
Quando, durante la giornata o la settimana, in svariate situazioni ci chiederemo: ”È proprio ciò che voglio?”, la risposta andrà ad allinearsi con la persona che davvero voglio essere.
Buon lavoro!
Carlo Virzi